Covid e residenze per anziani; profili di responsabilità alla luce del decreto legislativo 231/01
  04 Maggio 2020

Covid e residenze per anziani; profili di responsabilità alla luce del decreto legislativo 231/01

di Alessandro Rotondi, avvocato del Foro di Milano

Fatti di cronaca
La cronaca degli ultimi giorni riporta sempre più spesso il decesso per covid-19 di ospiti presso RSA, ovvero le residenze sanitarie assistenziali, con specifico riguardo a quelle destinate alle persone anziane.
Il fenomeno sembra aver interessato tutto il territorio nazionale, costituendo una notizia di reato raccolta da diverse Procure. L’Autorità procedente avrà dunque il compito di ricostruire fatti, individuarne i responsabili e dimostrarne la colpevolezza.
Quanto emerso finora ha portata principalmente giornalistica, ma sulla base dei primi dati venuti alla luce è possibile svolgere alcune ipotesi sul futuro sviluppo dei procedimenti avviati e sulla natura delle contestazioni che saranno mosse alle persone fisiche e giuridiche coinvolte.
In particolare si cercherà di illustrare in estrema sintesi quali profili di responsabilità potranno nascere, in capo all’ente che svolge attività di gestione di una RSA, ai sensi della normativa ex D.Lgs. 231/2001.

Riepilogo normativo
Il rischio da contagio da covid-19 negli ambienti lavorativi è stato prontamente valutato con la previsione di un protocollo condiviso tra Governo e parti sociali[1].
Inoltre il contagio è stato incluso nell’ambito degli infortuni sul lavoro. Infatti l’art. 42 comma 2[2] D.L. 18 del 17.3.2020 (recepito dalla circolare Inail n. 13 del 3 aprile 2020) stabilisce che contrarre il virus in occasione di attività lavorativa costituisce infortunio sul lavoro ex d.lgs. 81/2008.
La qualificazione del contagio da covid-19 come infortunio sul lavoro porta almeno due immediate conseguenze sul piano giuridico: la necessaria valutazione ed adozione di misure di prevenzione per il datore di lavoro; la valutazione del rischio di commissione dei reati previsto dall’art. 25septies d.l.gs. 231/2001 per l’Organismo di Vigilanza (OdV).
Come noto infatti, l’art 25septies d.lgs. 231/2001 annovera tra i reati presupposto l’omicidio colposo o le lesioni gravi/gravissime commesse con violazione delle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro.
Questo significa che la commissione di uno dei predetti reati, laddove l’evento risulti essere il contagio da covid-19 o la conseguente morte, potrebbe fondare la responsabilità dell’ente sulla base dei ben noti requisiti dell’interesse o vantaggio e della “colpa da organizzazione”[3].
È facile ipotizzare l’interesse vantaggio dell’ente nella sua forma del “risparmio di costi” ormai più che consueta in tema di infortuni e morti sul lavoro. Così come è quantomeno prudente pensare che, più che la mancanza di un modello, l’attuale crisi possa costituire un ostacolo alla sua efficace attuazione.

Quale ruolo per l’Organismo di Vigilanza?
Per le ragioni sopra illustrate è certamente opportuno, in via preventiva, procedere ad una verifica del Modello di Organizzazione e Gestione (MOG) e del sistema di procedure aziendali rispetto ad:
 - aspetti strutturali, quali valutazione dell’idoneità dei luoghi di lavoro, degli impianti e delle attrezzature e la conseguente individuazione delle aree di rischio e delle relative misure preventive;
- aspetti organizzativi attinenti la gestione della crisi, quali la formazione di un apposito comitato, la tenuta dei rapporti con il personale, i contatti con i terzi ed i fornitori, riduzione o blocco delle attività;
- aspetti sanitari, maggiormente legati alla specificità della crisi in atto, quali screening dello stato di salute, sanificazione di luoghi e dispositivi;
- aspetti formativi ed informativi, soprattutto nei riguardi dei lavoratori;
- vigilanza del rispetto delle misure sopra elencate;
Nell’ottica di una rapida risposta alla situazione emergenziale, per garantire un’adeguata compliance potrebbe essere sufficiente un aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) in ottemperanza agli obblighi del datore di lavoro[4] (così ad esempio la sopra citata nota Inail). Ciò in quanto, al netto della distinzione tra rischio esogeno ed endogeno[5], il principio di massima precauzione, desumibile dai principi del D.Lgs. 81/2008 e dall’art. 2087 c.c.[6], ciò imporrebbe.
Se si propende dunque per una “semplice” revisione del DVR, essa potrà senz’altro essere sollecitata dall’Organismo di Vigilanza, mettendone dunque in evidenza la capacità di presidio del rispetto del Modello e della prevenzione di illeciti aziendali in genere. Ciò sulla base del presupposto di un modello già adeguato. Laddove questo mancasse, occorrerà procedere celermente ad un suo adeguamento.

Esempi concreti e proposte operative
Cercando di calare quanto detto sin qui nel più specifico contesto di una RSA, ove in ragione dell’attività svolta il rischio è certamente più che significativo, è possibile ipotizzare, in via esemplificativa e non certamente esaustiva, i seguenti comportamenti.
L’OdV dovrà interpellare i soggetti responsabili perché provvedano, o per verificare che abbiano provveduto a:
  • Procacciamento, attraverso canali proceduralizzati[7], degli adeguati Dispositivi di Protezione individuale (DPI). Sanificazione periodica degli ambienti di lavoro.
  • Rilevamento della temperatura ed effettuazione di tamponi, con isolamento e seguito del decorso dei soggetti eventualmente positivi.
  • Chiusura delle aree a maggior rischio nella Struttura (es. mensa, bar). Turnazione sui luoghi ad uso necessario (es. spogliatoi).
  • Divieto di accesso alla struttura ai parenti. 
  • “Barriere all’ingresso” per i ricoveri, ad esempio solo a seguito di preliminari esami specifici e preferibilmente con pazienti provenienti da ospedali.
  • Avvalersi della consulenza di esperti, quali ad esempio medici infettivologi.
  • Utilizzo di solo personale interno, evitare prestazioni da parte di volontari e professionisti esterni.
Quanto sin qui detto può costituire l’ossatura di un apparto mirato di intervento rispetto alla crisi in atto, da adeguare poi alle esigenze specifiche della singola realtà nonché alla concreta evoluzione degli eventi.

Conclusioni
È chiaro a questo punto come la morte del paziente non rientri tra la classe di eventi che possa integrare un fatto tipico previsto nel novero dei reati presupposto ex D.Lgs. 231/2001.
Tuttavia si è visto come il contagio da covid-19 costituisca un fattore rilevante soprattutto in tema di omicidio o lesioni causate dalla violazione delle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro. Dunque l’alta infettività del virus ne impone una stringente prevenzione, quale che sia il soggetto da esso infettato.
Ma ancor più in generale, ed al netto di una responsabilità per omicidio colposo che pur non coinvolgendo l’ente quale persona giuridica possa colpire soggetti operanti all’interno di esso, vi sono delle considerazioni più ampie da svolgere.
Se si considera l’attività dell’Organismo di Vigilanza, e più in generale l’intero sistema del d.lgs. 231, non solo come una forma di punizione dell’ente e di prevenzione di specifici illeciti, ma come un’occasione di responsabilizzazione su più livelli di un’organizzazione perché tenda alla massima tutela di tutti i soggetti che si rapportano ad essa, non si potrà che convenire sul fatto che un’adeguata compliance 231 possa mirare a prevenire eventi anche al di fuori del suo stretto ambito di applicazione[8].
I fatti di cronaca richiamati possono dunque essere l’espediente in ragione del quale l’OdV sia chiamato ad assumere, oltre alla sua funzione ex lege, un ruolo non necessariamente doveroso, ma senz’altro utile ed apprezzabile soprattutto in situazioni drammatiche come quella che tutti ci troviamo attualmente ad affrontare.


[1] Si veda il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 14 marzo 2020.
[2] “2. Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019. La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati”.
[3] Più nello specifico: la mancata predisposizione di un Modello Organizzativo idoneo a prevenire la commissione di reati nello svolgimento dell’attività dell’Ente, oppure una sua inefficace attuazione, salvo i casi di elusione fraudolenta dello stesso.
[4] Il riferimento è a quanto previsto dall’art. 29 D.Lgs. 81/2008.
[5] Si tratta di una classificazione dottrinale del rischio in base alla sua genesi: se interna all’attività aziendale o esterna ad essa.
[6]L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
[7] Ciò in quanto non va sottovalutato il rischio di commissione di reati presupposto diversi da quelli attinenti la sicurezza sul lavoro, come ad esempio reati contro la P.A. o delitti contro l’industria e il commercio.
[8] Senza evidentemente che a ciò possa fare da contraltare un’inaccettabile estensione di responsabilità.